sabato 22 ottobre 2016

IL LIRISMO UMANO E PASSIONALE NELLA POESIA DI FRANCESCA ALBERGAMO

Sono cresciuta così, ascoltando versi, imparando versi, amando versi. Con i poeti ho riso, ho giocato, ho pianto, ho imprecato, ho amato; sono stata irriverente, ribelle, rivoluzionaria, ma anche tollerante, sottomessa, umile… mai codarda. Scrivere per me è una sensazione di possesso e, al contempo, di libertà; nulla di assoluto: da una parte vi è la consapevolezza di potere scegliere le parole; dall’altra, amo lasciarle libere di andare, di tornare, di lasciarmi intrappolare, oppure no. La gioia sta tutta nel seguirne la traiettoria, di lasciami intrappolare oppure no. la meta? la verità!
Così si definisce Francesca Albergamo, poche, personali ed originali espressioni, che tradiscono una rara profondità di pensiero che abbraccia e si trasfonde in una emotività genuina ed autenticamente femminile.
La poetica è permeata di raffinato sentimento e di radicato impegno sociale che traspaiono, come una pittura vivida ed a tinte forti, nei versi limpidi e crepuscolari.
Francesca è figlia orgogliosa della sua terra, con radici immerse nell’animo popolare, nella cultura degli umili che non è “dei vinti” alla maniera verghiana, ma che ha lucida coscienza di sé  risorge, si riscatta e diventa protagonista della storia.
Ne “La maggioranza sta”, silloge di maggiore espressione della poetica di Francesca e che cita nel titolo una celebre canzone di De Andrè, l’autrice riversa in un caleidoscopio di emozioni il suo essere, la sua esistenza, il suo amore per gli altri. Ella è testimone del tradimento sociale del conformismo, di chi – pavido - preferisce essere numero, nascondersi nella massa informe delle coscienze aggiogate al normopensiero, incapace di reazione ed imbelle, “maggioranza” che subisce passiva ed anonima gli eventi che la trascinano. Francesca va al di là della contestazione pasoliniana, di quella tradizione culturale impegnata che troppo spesso viene bollata come “di sinistra”, quasi a sottolinearne un accento spregiativo.
Difendere la coscienza della libertà, tra allegorie e metafore dichiarate, additare ad esempio una civiltà di cui troppo spesso si perde la memoria che non è dei molti assenti ed ignavi, ma di coloro che hanno dato tutto di sé per costruire la libertà. Un messaggio profondo che Francesca rivela nelle sue poesie, a tinte forti e solari come certi quadri di Guttuso, in cui il sudore, la fatica si sublimano in idee in movimento, in cui la terra stessa, teatro di lotta, diventa donna e madre, culla di quel dolore e di quella voglia di esistere che contraddistingue il vero sentimento.
Nella lirica “Basterebbe un fiore” si riassume, in un delicato e intimistico gioco di contrasti ed ossimori, la capacità lirica e l’impegno sociale della poetica di Francesca Albergamo: Alcuni / procedono/dentro questa vita/a passi incerti, /traballanti, smarriti, / confusi./Cadono /su sentieri di sassi,/si arrampicano /su muri di pietra levigata./Risalgono /dal pozzo oscuro, profondo./Risorgono /dalle ceneri antiche./Altri soccombono/smarriti, soli, annientati,/confusi tra la gente/superficiale, distratta./Gente che vaga/tra la nebbia del pensiero perduto,/che naufraga /nell’oceano dell’indifferenza./Gente incapace di vedere /che attorno la vita muore/nel quotidiano gioco /della sopravvivenza./Eppure a volte…/basterebbe un fiore!”
A volte… non occorrono rivoluzioni, non guerre, a volte basta un piccolo fiore, l’impegno quotidiano di ciascuno, una poesia, un pensiero per trasformare il mondo.
L’umanesimo magistrale di Francesca tocca il cuore, perché la poesia non è fine a se stessa, mero esercizio di duttile retorica, essa piuttosto diventa afflato di speranza per l’umanità, che lei non vuole semplicemente come “gente”, aggregazione informe, ma come energia attiva nella storia.
Il volume “La maggioranza sta” è intessuto di precisi richiami a grandi poeti, autori che hanno trasfuso nelle liriche il pensiero ribelle, attivo che non si rassegna di fronte al dolore, alla solitudine, alla fatica.
Francesca con le sue poesie fornisce al lettore uno straordinario strumento universale, per riflettere dentro di noi ed affrontare la vita come un cammino: “La vita/ti prende per mano/senza domande né risposte.”
Ed è proprio la vita, il volerla vivere al meglio, con autenticità, senza ipocrisie, senza maschere o infingimenti, il leit-motiv della poetica di Francesca: vita vissuta nella famiglia, con valori e memorie da tramandare ed a cui dare significato,
nelle figure del padre, della madre (protagonista di una toccante lirica di Francesca), nei volti dei giovani innamorati e negli amori delusi, sino all’età della saggezza, quella vecchiaia che troppo spesso viene vista come un inutile peso.
Come a dire che l’esistenza è un acquerello in chiaroscuro da dipingere, un quaderno con le pagine bianche un’avventura che aspetta solo di essere vissuta. Al meglio.
Grazie Francesca per quello che hai saputo donarci con i tuoi versi.

By Michele Barbera 

PERCHE' NON AVREI DATO IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA A BOB DYLAN

Premessa di dovere: sono un fan sfegatato di Bob Dylan. 
Assieme a Vasco Rossi, Edoardo Bennato e Bruce Springsteen (ed a una decina di altri strepitosi cantautori ed interpreti, italiani e non) sono stati e sono la colonna sonora della mia eterna adolescenza con le loro canzoni. 
Canzoni, appunto. Non romanzi, poesie, racconti, epigrammi... Canzoni. Memorabili, uniche, epocali. Liricissime, che ti entrano nel sangue. Ma canzoni. Che significa un insieme di una parte vocale (testo, ma non necessariamente), e di una parte strumentale e/o acustica (che significa musica ma non necessariamente). Il testo può mancare, ci possono essere espressioni onomatopeiche, lazzi, frizzi e smorfie, rumori ed effetti sonori possono sostituire gli strumenti classici o elettronici.
Tempo fa ho letto un articolo di Umberto Eco intitolato “Perché non avremmo mandato Dante in cattedra”. Spiegava, in modo sottilmente umoristico, il perché Dante non avrebbe mai potuto essere un buon docente universitario. Sulle prime mi ero arrabbiato, poi ho capito. Umberto Eco spiegava che, al di là del genio del personaggio, era essenziale valutarlo con i criteri propri e funzionali della cattedra di insegnamento. In una parola, vale il rispetto delle regole del gioco. Di quel gioco. Non applicarle significa alterare il gioco, barare o, comunque, snaturarne l'essenza. 
Il premio a Dylan chiamatelo come volete “al cantautore del secolo”, “al maggiore interprete musicale della protesta americana”, “al musicista rocchettaro più intenso e profondo”, al “rivoluzionario impenitente”, ma non chiamatelo “letteratura”.
In un concorso “letterario” (appunto) se il bando richiede una poesia, non posso partecipare con un romanzo. Se richiede un giallo non posso presentarmi con una storia d'amore. Se vogliono un testo teatrale non posso presentarmi con una raccolta di aforismi. Tutto è letteratura, ma vi sono forme e contenuti diversi. E' questione di regole e di rispetto, ma, forse e sopratutto, di lealtà.
Ci sono poi premi e concorsi con sezioni riservate a “canzoni” e musica. Per l'appunto. E ci sono i concorsi musicali. Ai quali, evidentemente, non è possibile partecipare con un romanzo o con una poesia. Ma solo con una canzone o con una composizione musicale. Come è giusto che sia.
E questo al di là del messaggio contenuto nel testo o dell'armonia dei versi.
La musica è musica, la letteratura è letteratura, musica e letteratura assieme possono formare la canzone, che non è solo musica e non è letteratura.
Bob Dylan è uno dei grandi del nostro tempo. Con una fama ed un successo strameritati. Le sue canzoni hanno fatto e fanno vibrare le corde dei nostri cuori. Ma la sua canzone non è "letteratura" nel senso stretto del termine ed anche se viviamo in un'epoca multimediale. 
E penso che lui stesso, all'atto del Nobel, avrà pensato ai tanti poeti e scrittori, magari misconosciuti, magari in paesi sottosviluppati, magari oppressi da regimi totalitari e da censure draconiane e violente, che, con la loro penna in mano o la tastiera sotto le dita cercano, si sforzano, giorno dopo giorno, di dare testimonianza del loro tempo, di dare voce alla loro gente, di fare – nel loro piccolo – una rivoluzione del quotidiano, di lasciare un'impronta della loro umanità. 
Con le loro poesie. Con i loro racconti. 
Accompagnati, perché no?, (stavolta ci sta) con la musica dell'anima.
E credetemi: ognuno di loro meriterebbe il Nobel.

By Michele Barbera