sabato 30 dicembre 2017

MENFI: E' MORTA SUOR ROSA MARIA LO IACONO

Ho combattuto la buona battaglia,
ho terminato la mia corsa,
ho conservato la fede.

Mi piace ricordarLa così, con le stesse parole di San Paolo che la carissima Suor Rosa ha indirizzato in un intenso messaggio di cordoglio a mia madre subito dopo che era avvenuta la morte di mio padre nel 2009.
Le parole di San Paolo sono un viatico intimo, pieno di passione, speranza e fede, la stessa che ha accompagnato Suor Rosa nella sua vocazione fra le Apostole di Gesù Crocifisso a San Giovanni Rotondo.
Suor Rosa non ha mai dimenticato Menfi e nessuno di quanti hanno avuto la fortuna di conoscerla e di frequentarla; ha saputo sempre dedicare ad ognuno il giusto pensiero, nelle ricorrenze, liete e tristi, che la Provvidenza riservava nel cammino delle nostre esistenze. Ed era sempre una gioia poterla rivedere nelle rare occasioni in cui tornava nella nostra città.
Nel ricordo di Lei c’è sempre l’intensa ed infaticabile attività che ha svolto, prima di abbracciare la Croce di Cristo nel ministero della vocazione, come promotrice nella comunità ecclesiale del “mitico” Gruppo Giovani. Non eravamo ragazzini, ma forse neanche tanto “grandi”, eppure quel Gruppo ha sicuramente segnato una tappa fondamentale nella vita di ogni giovane che lo frequentava: la costanza con cui tutti seguivano l’attività era e rimane un mistero in una società materialista, superficiale, allo sbando, dove l’adolescenza segna quasi sempre il distacco triste dalla Chiesa. È stato il carisma di Suor Rosa, all’epoca semplicemente Rosa, a guidarci, ne sono sicuro.
È ritornata alla Casa del Padre l’altro ieri, giovedì, in un luminoso pomeriggio di dicembre, nel periodo liturgico che celebra la Sacra Famiglia. E, forse, non è un caso. Si è sicuramente ricongiunta ai suoi genitori che l’hanno preceduta nel cammino di rinascita nella fede. Serena, gioiosa e sorridente. Come sempre l’abbiamo conosciuta.
Suor Rosa ha affrontato un difficile percorso, quello della malattia, che nelle persone sante e credenti, però, diventa occasione di incontro mistico con la Croce. Neanche la malattia, però, l’ha segnata, né ha potuto sfigurarle la dolcezza di un sorriso offerto ogni giorno al Cielo.
Non ci stupiscono le notizie che arrivano da San Giovanni Rotondo sulla sua morte, avvenuta mirabilmente in concetto di santità. Anzi, è lo stimolo di una nuova riflessione, sulla limpidezza e la gioia di una fede vocazionale che non ha avuto tentennamenti. Suor Rosa è stata un esempio di delicata umiltà e di fermezza nella fede che deve essere conosciuto ancora meglio dalla nostra comunità e, soprattutto, dai nostri giovani.
Adesso, il ricordo di Rosa (perdonatemi se la chiamo così) è ancora più prezioso, la sua memoria ancora più vitale. Per questo la sentiamo ancora più vicina di quanto poteva essere a noi con la sua preghiera quotidiana. Il cordoglio che ci unisce è una finestra aperta sul Cielo: la stessa da cui Suor Rosa continuerà a guardarci, a spronarci ed a consolarci.
Un caro saluto,

Michele  

giovedì 28 dicembre 2017

L'ITALIANO LEGGE POCO E MALE: INDAGINE ISTAT IMPIETOSA


Non c'è niente da fare: saremo forse un popolo di eroi, poeti, scrittori, cantanti e sportivi, ma di lettura non ne vogliamo sapere. 
L'ISTAT ha disegnato per il 2016 uno scenario sconfortante: solo il 40,5% degli intervistati italiani ha dichiarato di aver letto almeno un libro durante tutto l'anno, perdendo sul totale due punti percentuali rispetto all'anno precedente. Dunque, il 60% degli italiani non legge neanche un libro l'anno. 
Il paradosso è che dal punto di vista editoriale le pubblicazioni aumentano: c'è una costante progressione nella pubblicazione di libri e/o di testi, anche in piccole tirature. Come dire che preferiamo pubblicare piuttosto che leggere. Il che è un assoluto controsenso.
Secondo gli editori, il fattore principale che svia la popolazione dal leggere è il basso livello culturale della gente e l'assenza di una adeguata educazione alla lettura da parte della scuola. Se poi pensiamo che questi editori sono i medesimi che pubblicano, il quadro è fatto: non ci si deve lamentare se si pubblicano opere di basso livello culturale, magari redatte da gente che legge pochissimo o con uno scarso retroterra culturale ( e forse con troppa presunzione). Il tutto innesca un evidente circolo vizioso che allontana la gente dagli scaffali delle librerie.
Il dato di fatto è che gli editori, specie medio piccoli, sono portati, a fronte di un contributo in danaro degli autori, a pubblicare di tutto pur di mantenersi economicamente a galla. Anche se poi, in ipotesi, i volumi non si vendono o finiscono al macero. 
Eppure il gusto della lettura nella patria di Manzoni, Pirandello, Svevo, etc... dovrebbe essere se non innato, almeno congeniale. Ed invece, c'è proprio un rifiuto, che poi si traduce in una scarsa intraprendenza ed un interesse "asinino" per la lettura di svago, di piacere o di impegno extra-scolastica. 
L'augurio di fine anno è che recuperiamo il piacere di leggere, se non noi, almeno i nostri figli. Magari approfittando degli sconti o delle edizioni economiche, ma cercando di leggere qualcosa di qualità, anche i "classici", o, perché no?, qualche autore contemporaneo.
Anzi più che un augurio, dovrebbe essere una promessa da fare a noi stessi, prima ancora che agli altri. 
By Michele Barbera 

mercoledì 13 dicembre 2017

C'ERA UNA VOLTA IL BITCOIN, ovvero COME TI TRUFFO IL RISPARMIATORE


E' proprio vero. Gli speculatori una ne fanno e cento se ne inventano. Dopo aver trascinato i risparmiatori nella mega-truffa planetaria dei derivati e consimili, di fronte alla pochezza del mercato finanziario internazionale, stravolto da mille crisi e speculazioni, ora è venuto fuori il mondo delle criptovalute, prima fra tutte il bitcoin. 
Me ne ero occupato in un precedente post, anni fa, quando ancora il bitcoin più che uno strumento speculativo, era quasi un fenomeno di folclore internettiano, sconosciuto ai più. 
Allora sono stato critico nei confronti del "bitcoin" e lo sono, a maggior ragione, adesso. 
Un tycoon di Wall Street ha detto che: "il mercato si crea con il desiderio: potrei vendere i calzini sporchi di mia nonna, se trovo chi se li compra". 
Il "parco buoi", come i bankster e gli speculatori chiamano i risparmiatori, aveva bisogno di nuova linfa, visto e considerato che languiva. 
La nuova speculazione si chiama "bitcoin". 
Cosa c'è dietro il bitcoin? Sia chiaro: lo zero assoluto. 
Non è una moneta, non è regolato da alcun criterio di mercato. E' volatile al massimo grado di esponente. In un solo giorno si può guadagnare e perdere tutto.
E' retto solo da una legge: quella del desiderio, della domanda e dell'offerta. Crolla la domanda ed il bitcoin si ridurrà drasticamente e tragicamente a zero. Con la pratica conseguenza che chi ha speculato prima del crollo potrà guadagnare dai gonzi che si sono affrettati ad acquistare dopo a valori altissimi. 
Schema Madoff? Schema Ponzi? Catena di Sant'Antonio? 
Chiamatela come volete, sempre truffa è. 
Gli economisti più saggi hanno messo in guardia i risparmiatori. Il bitcoin è semplicemente una scommessa: oggi lo compro a 10.000 dollari, sperando che domani lo posso rivendere a 15.000. E se così non fosse? Peggio per voi. Nessun avvocato potrebbe chiedere alcun risarcimento a chicchessia, tanto meno a chi vi ha venduto il bitcoin. 
Eppure il parco buoi ha mostrato, ancora una volta, un'ottusità senza pari. 
C'è gente che ha buttato una vita di risparmi, chi è ringalluzzito con un'occasione senza pari di arricchirsi alle spalle di altri gonzi che, nella catena, sono venuti dopo. 
Gli ultimi perderanno tutto. 
Dunque, rimane un'allerta rossa e l'invito a stare molto attenti ed a uscirsene finché si è in tempo. 
In questo caso rimanere in fondo alla fila significa perdere tutto, così come acquistare bitcoin sperando che si valorizzino ancora è solo un pio desiderio, una scommessa aleatoria, che, comunque, sarà sempre a scapito di qualche altro risparmiatore. 


sabato 9 dicembre 2017

IL PIACERE DI LEGGERE: SPINE D’EUPHORBIA, poesie, di JOSÈ RUSSOTTI (Convivio Editore)


Chi non è mai stato a Malvagna, una terra sospesa fra la Valle dell’Alcantara ed il cielo etneo, non può comprendere e capire sino in fondo Josè Russotti, celebrato artista poliedrico, che fonde in uno raro e splendido connubio, l’espressione viva del suo vivere l’arte: pittore non massificato, dai tratti autenticamente originali, per tecnica e contenuti, e cultore acuto, estremo e raffinato dell’arte dei versi.
Nella silloge Spine d’Euphorbia Russotti ha distillato purezze emozionali in solfeggi di versi sciolti, arricchiti da un’armonia di respiro universale. L’essenzialità profonda ed intimistica della poesia di José Russotti la si intravede sin nella tela cha anima la copertina della silloge. È un suo quadro, in cui nudità essenziali, dolorose, fanno da contrappunto ad una quotidianità metafisica, espressa in un semplice e simbolico filo da lavandaia spoglio, che taglia l’orizzonte del dipinto. Quel quadro è una finestra nell’anima, il fotogramma di un disagio doloroso, scolpito nel nero-profondo della roccia lavica, ripiegata su se stesso.
Uno strano matrimonio quello tra il dolore dell’uomo e la grandiosità della natura: Josè Russotti ama la sua terra, soffre per essa e la sua musa lirica si nutre direttamente ed attinge sacralmente al genius loci, di cui diventa vestale fedele e custode appassionata dell’oikos d’ellenica effige.
Non c’è una semiologia unica nei versi, ma, seguitando il pensiero del filosofo acheo, nulla di ciò che riguarda l’uomo è estraneo al poeta, il vissuto emozionale – creta informe – diventa magma da plasmare, lava stratificata dalla memoria, che talvolta lambisce e talvolta travolge il senso stesso della vita universale. Nella poesia di Russotti c’è la condanna alla “nostra insulsa indifferenza”, c’è la mano tesa ai “neri invisibili”: “sono voci che chiamano e si cercano/negli occhi sgranati dentro un vuoto di nulla”. C’è Malvagna, c’è l’Alcantara, c’è la Sicilia, c’è il mare, c’è una natura ed un paesaggio urbano “non convenzionale” che diventa rifugio, guaritore e panacea dell’animo umano, tempio indissolubile, ma anche timore per l’“amaro evolversi”: “che ne sarà di queste case di calce erosa/ e pomice di lava antica?”, dove riecheggia, acuta, l’eco ancestrale delle leopardiane e fatali magnifiche sorti e progressive che pure Russotti reinterpreta in più punti con l’insistente richiamo alla “ginestra”, resiliente metafora del male di vivere.
Josè Russotti
Nell’ipogeo poetico di Russotti si agita inquieto lo spettro di mille tempeste, di mille passioni e di una memoria storica striata da tenui rimpianti e da vividi dolori. “Ne rimane lieve memoria/fissata nel lampo/ d’uno scatto istantaneo…nei ripensamenti acuti/fitto di trame crudeli”. Il tazebao poetico di Russotti diventa tela bianca in cui fissare ritmi e sinfonie policrome, all’insegna del più puro spirito espressionistico, in cui la realtà è fortemente caratterizzata ed enfatizzata da colori e scene dolorose e violente, che, come in un agone prometeico, danzano “dentro un fuoco di lava”. In questi tratti emerge la passionalità assolutizzante di Josè Russotti che, in tema d’amore, non ammette compromessi: “era come un cercarci tra pazzia e dolore/ tra parole di collera e notti insonni”. Le spine “aguzze” d’Euphorbia diventano metafora dell’amarezza del sentimento inespresso: “come spine aguzze d’Euphorbia/serbo ancora sul volto/ le lacrime amare del congedo”, o anche afflato d’amore sensuale e tormentato: oh amore amaro senza nessuna lusinga…/ di spine acute d’Euphorbia nei fianchi!/ Rimani davanti alle mie mani e lasciati cullare”. Ma se l’amore è dolore, è allo stesso tempo speranza che dà voce alla memoria ed ai rimpianti. Così è per il dolce ritratto della madre, forte e delicato, “presenza divina”, “brace per l’inverno inoltrato”, e mentre nell’attimo fatale del distacco, “un silenzio assordante/di carne lacera/ s’impossessò/ di quella stanza/ austera”, il poeta-figlio rimane “inerme/nell’angolo mesto della pena”, piange “dolorosamente/adagio…/per non destarla”. Anche l’amicizia diventa per il poeta un aspro terreno di scontro in cui dolore e destino non risparmiamo fendenti, talora mortali. Allora, accanto al “grido sconfinato” per la morte dell’amico Salvatore Gaglio, poeta anche lui, Josè Russotti adagia il suo icastico memoriale: “e in questa nuda Sicilia che tanti amasti/ solo le lacrime bagneranno i fiori del tuo giardino”.
Le poesie della silloge sono, perciò, calde digressioni, variazioni sull’empatia universale, venate da malinconica e struggente saudade di cui pure, per la nascita sudamericana, la vena poetica di Josè deve averne parte. Nella consapevole fuggevolezza dell’esistenza “breve” e nella coscienza della precarietà del domani, il poeta si rivolge alla coscienza collettiva della sua città natale per esorcizzare, con un ferale monito a non piangerlo, l’”inavvertito congedo” di chi “vive il dolore”. Lo stesso topos, sommo e tragico, lo ritroviamo nella lirica dedicata al padre: “è soltanto un attimo veloce/come sguardi rubati al tempo/ perché l’età avanza e cancella”.
L’esiziale fine della vita, il tema della morte-distacco-abbandono che “passa addosso”, ineluttabile e crudele, costringono Josè a cercare spazi da riempire con sentimenti veri, che veicola per il lettore, con messaggi subliminali per sconfiggere l’”angoscia dell’attesa” , egli dà al lettore un filo d’arianna, un viatico spirituale: “ti lascio una crepa di lava/ dove ho deposto la mia pazienza” .
La lava è l’archetipo naturistico, l’ossimoro poetico di Josè Russotti: è la linfa della terra, vita e distruzione, ma è anche tomba, custodia ancestrale, culla-bozzolo: “nessuno/avrà rimpianto/della mia pelle/sporca di contrasti./ Nessuno/poserà un fiore/sulla stele di lava brunita”.
L’esistenza umana per Josè è un gioco tragico di ombre e luci, in cui i protagonisti sono preda di un destino che si fa beffa di loro. Per avere la nostra parte e viverla appieno, dobbiamo spogliarci di ogni orpello ipocrita, metterci a nudo con gli altri, servirli dei nostri sentimenti, dell’autentica debolezza del nostro cuore, che trabocca d’amore di creature imperfette, sino a divenire elogio stesso dell’imperfezione.
La vita è, in ultima analisi, un gioco delle parti, una commedia. Se non divina, umana. Come direbbe Nietzsche, sin troppo umana.
By Michele Barbera  

mercoledì 22 novembre 2017

SOSTENIAMO LA BATTAGLIA DEI SINDACI PER L’ACQUA PUBBLICA!

Partiamo da un presupposto: un’impresa è tale se genera profitti. L’intento speculativo è proprio di chi svolge un’attività economica. E il guadagno è il metro con cui si misura il successo di un’impresa. Tutto questo in un’economia liberale non solo è legittimo, ma è fisiologico.
In una logica d’impresa tutto può divenire oggetto di commercio e di mercato. Tutto può essere fonte di guadagno e di speculazione. 
Alla logica del più forte, si sovrappone quella del più ricco: solo i più ricchi sopravvivranno. 
E gli altri?
Su questa domanda ognuno può rispondere e dire la sua. Ma non lasciamo la nostra coscienza in apnea o anestetizzata dal disimpegno.
Chi oggi gode dell’acqua pubblica non potrà dire lo stesso di domani.
La logica perversa della privatizzazione imperversa e vuole fagocitare i residui spazi che ancora impediscono di stringere il cappio su ciò che è essenziale e vitale per la popolazione. Per cosa?
Solo per il guadagno, per il superprofitto. Non c’è alcuna altra ragione.
Il “privato” approfitta delle disfunzioni del pubblico, della disattenzione degli amministratori e dei governanti per presentarsi come “efficiente” e solerte. Tutte boiate ipocrite. 
Quello che interessa è solo il guadagno, milioni e milioni di euro alla faccia del popolo bue.
Hanno sbagliato e sbagliano i nostri politucoli del cavolo, da Roma a Palermo, ad ignorare la volontà del popolo che vuole l’acqua pubblica e l’ha gridato con un referendum plebiscitario.
E sbagliamo noi a non appoggiare quotidianamente la lotta giusta e sacrosanta dei nostri sindaci che si battono per riconquistare l’acqua pubblica. È un dovere civico allontanare gli speculatori dal bene più prezioso che abbiamo per la nostra stessa sopravvivenza.
Vogliamo la risoluzione del contratto da Girgenti Acque senza se e senza ma. Vogliamo che l’acqua ritorni un bene pubblico, a gestione pubblica, senza sciacallaggi e senza rendite parassitarie.
In questi giorni si svolgerà davanti al TAR di Milano l’ennesimo scontro tra Girgenti Acque e l’ATI IDRICO, dopo che l’ATI IDRICO aveva ridotto le tariffe per il consumo di acqua con l’approvazione dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico.
Girgenti Acque, ovvio, ha impugnato gli atti davanti al Giudice, riservandosi – altrettanto ovvio – di chiedere il risarcimento dei danni.
L'ennesima dimostrazione della voglia di profitto di Girgenti acque: soldi, guadagno, profitto, con lo specchietto delle allodole della “corretta gestione”!
Chiediamo ( lo dobbiamo fare ognuno di noi nel nostro paese e città) a tutti i cittadini ed i Sindaci del territorio di farsi interpreti della volontà del popolo, lontani da clientelismi e compromessi e di sostenere la risoluzione IMMEDIATA del contratto con Girgenti Acque!
Chiediamo al nuovo Governo Regionale di rispettare la volontà del POPOLO e dare disposizioni normative chiare ed univoche per il ritorno a livello regionale della gestione pubblica dell’acqua!
NON SI SPECULA SULLA SETE DEI SICILIANI!
Coordinamento Agrigentino per l’Acqua Pubblica

Condivido e sottoscrivo.

Michele Barbera 

lunedì 6 novembre 2017

ASTENSIONISMO? NO GRAZIE! 10 MOTIVI PER ANDARE A VOTARE


Anche per le Elezioni Regionali della Sicilia l'astensionismo ha vinto: più della metà degli elettori non sono andati a votare. Agevolando così la mala politica ed i furbetti dell'urna elettorale. 
Voglio darvi, in questa breve scheda 10 buoni motivi per andare a votare.
1. Voto perché esprimo la mia opinione. Siamo in democrazia e gli assenti, nella logica dei numeri, hanno sempre torto. Il nostro voto potrà non essere condiviso, ma rappresenta un'opinione libera e democratica. La nostra e di nessun altro.
2. Se non votiamo agevoliamo la mala politica. Non è vero che non andando a votare esprimiamo una "protesta". Semmai è vero il contrario. Agevoliamo gli affaristi della politica, facendo pesare di più i voti di chi si reca alle urne, che magari è influenzato dagli affaristi ed i furbetti della politica. 
3. Se non votiamo non possiamo pretendere cambiamenti. Il nostro voto orienta le scelte dei rappresentanti. Se un governo viene bocciato democraticamente alle urne, chi lo sostituisce è orientato a non ripetere gli errori del passato. Il popolo comanda se esprime la sua opinione, altrimenti è ostaggio dei politici.
4. Nel voto c'è il futuro nostro e dei nostri figli. Parliamo, discutiamo e condividiamo in famiglia il voto. Ci motiverà di più ed al contempo, la discussione responsabilizza noi ed i nostri figli. Le scelte politiche e legislative condizioneranno il futuro della nostra comunità. 
5. Votare significa eleggere i nostri rappresentanti. Nel diritto costituzionale ci si batte per il cosiddetto "mandato elettorale" che non può essere paragonato ad un negozio giuridico, ad un contratto, ma ha un significato più profondo. L'eletto deve farsi portatore delle idee della comunità che rappresenta. Dire la nostra su questa scelta, sia che venga eletto chi votiamo, oppure no, significa contribuire alla scelta delle idee e dei progetti, condividerli o contrastarli. Siamo una comunità ed ognuno ha un proprio "debito sociale", cioè deve dare il suo contributo alla vita sociale, anche con il voto. Solo così il politico renderà conto al suo territorio delle scelte e del lavoro che ha fatto.
6. Non votare oggi può essere una scelta, ma domani potrebbe essere una costrizione. Non c'è fenomeno più aberrante nella democrazia che privare i cittadini del diritto di voto. Ma l'astensionismo agevola ciò. Svuota il diritto di voto ed i governanti saranno sempre più orientati a svalutare il consenso elettorale. Se il popolo non vota diventa inutile. Altri meccanismi soppiantano la scelta elettorale (listini bloccati, incarichi di governo a soggetti non eletti, disattenzione per i programmi, etc...). Alla fine il voto può diventare inutile e favorire un'oligarchia ad instaurare il suo potere. 
7. Il voto è un giudizio sull'attività di chi ci governa. I primi ad avere interesse all'astensionismo sono i cattivi governanti. Fanno disinteressare il popolo per meglio pilotare l'esito elettorale e puntare alla salvaguardia dei propri privilegi. Esprimere un voto negativo, scegliendo alternative politiche, rappresenta un modo per "punire" chi ha governato in modo sbagliato e deleterio. Leggere i programmi e pretendere che vengano attuati è diritto e prerogativa degli elettori, altrimenti diventano solo vuoti proclami di principi.
8. Se non votiamo noi, altri penseranno a farlo. Che senso ha non votare se altri lo faranno? La nostra assenza diventa forza per gli altri, per chi trova il tempo ed interesse per recarsi al seggio. 
9. L'astensionismo non è una protesta. Chi si astiene dal voto non esprime alcuna opinione, né dà alcun giudizio. E' solo un assente, un inerte che subirà passivamente le scelte altrui. La sua non è una protesta, ma un involontario appoggio a chi manovra clientele elettorali. 
10. Voto perché esisto. Proprio così. Ho diritto di far valere la mia opinione, il mio giudizio. Esisto, vivo in una democrazia e ne faccio parte. Lo strumento che mi dà la Costituzione democratica è il voto, è il diritto di fare politica con le idee e con gli uomini, di polemizzare e di cercare il consenso. 
Chi vota non fa semplicemente il suo dovere di cittadino, ma esercita il diritto inderogabile di essere parte viva di una democrazia!
By Michele Barbera 

mercoledì 25 ottobre 2017

MORIRE DI VERITA': OMAGGIO A DAPHNE CARUANA GALIZIA

Di verità si muore. Lo sanno bene i giornalisti, i magistrati, le forze di polizia che della verità sposano la causa. Spesso contro tutti e tutto. La verità non sempre è amata o voluta. Capita allora che ci si adagi in un limbo fatto di ipocrisia e di mezze bugie, pur di non trovarci di fronte al turbamento delle coscienze che scatena la verità.
In Sicilia alle autobombe ci siamo abituati. E sembra che più debbano fare rumore, tanto più è la verità che debbono seppellire. Non c'è dialogo, né perdono. Solo violenza, ferocia, rifiuto di ogni confronto. E c'è la barbara forza intimidatoria mafiosa. E ci sono i mandanti occulti, quelli del "terzo livello", con i colletti bianchi che non si vogliono sporcare le mani. 

Eppure questi criminali non sanno che la voglia di verità non può essere spenta. Forse, rimane ferita, forse agonizzante, forse riposa in un sonno inquieto. 
Ma prima o poi la verità rinasce, fa nuovi proseliti, raccoglie nuovi consensi. L'intelligenza non si arrende, perché è madre del coraggio. 
Non mi stupirei se le novità di queste ore fossero vere. Il che condurrebbe la morte di Daphne ad un circuito criminale internazionale mafioso, in cui l'Italia sarebbe tristemente coinvolta. 
La memoria di Daphne è affidata al fiume eterno della storia e con essa, il suo esempio. Che ci convince a non demordere, a non desistere. A non scendere a compromessi né con la nostra coscienza, né a concedere sconti a chi opera nel male, speculando sulla vita e sui bisogni degli altri e facendo del proprio arbitrio una legge sopraffattrice. 
La verità ha un prezzo che non tutti sono disposti a pagare. Ma questo prezzo è quello che rende migliore la società in cui viviamo, che non lascia impuniti crimini e criminali. E' un prezzo altissimo se pagato da una sola persona, ma se condiviso da tanti diminuisce sino ad annullarsi. E' l'amore per il vero, per il giusto che tanto più è diffuso, tanto più isola e disarma la violenza e l'ingiustizia. 
Riposa in pace Daphne. Il nostro migliore Augurio e la nostra Speranza è che il tuo esempio di instancabile operatrice di verità venga seguito da tanti altri, specie dai giovani, che sulla rete virtuale e nella vita quotidiana concreta, sappiano operare, in piena libertà e rispetto, perseguendo il Bene e difendendo il Giusto. 
Nella nostra società non abbiamo bisogno di eroi, ma di persone oneste.
By Michele Barbera 

mercoledì 18 ottobre 2017

IL GOOGLE ZEITGEIST: CLUB BILDERBERG, NUOVO ORDINE MONDIALE E LO "SPIRITO DEL TEMPO"



In Virginia nel giugno di quest'anno si è riunito il Club Bilderberg, il convegno ultrasegreto dei potenti del mondo. 
Del Bilderberg fa parte da tempo il C.E.O. di Google, Eric Schmidt sino al 2015. 
Ovviamente nel 2017 è stato invitato il nuovo CEO di Google, Sundar Pichai. Schmidt continua a fare parte del management di Google in un'azienda controllata l'Alphabet.
L'ordine del giorno ufficiale è stato: 
  • Amministrazione Trump: una relazione sui progressi compiuti
  • Relazioni Trans-Atlantiche: opzioni e scenari
  • L’alleanza della difesa Trans-Atlantica: proiettili, byte e dollari
  • La direzione della UE
  • La globalizzazione può essere rallentata?
  • Lavoro, reddito e le aspettative non realizzate
  • La guerra delle informazioni
  • Perché il populismo cresce?
  • Russia nell' ordine internazionale
  • Il Vicino Oriente
  • La proliferazione nucleare
  • Cina e l'impatto sull'economia globale
Alcune delle risoluzioni finali (almeno quelle che sono state rese note) rigorosamente in forma orale (niente scritti o documenti "compromettenti") hanno riguardato: 
1) "reset economico" globale, mettere in gran parte le risorse in possesso delle banche per affermare il predominio economico e finanziario su quello politico;
2) "guerra globale sulle informazioni";
3) l'intelligenza artificiale che utilizza i computer quantistici e tecnologia per cementare il  controllo sul pianeta;
4) rapporto sulla politica USA e l'amministrazione Trump definita "problematica"; 
5) lo sviluppo dell'economia cinese ed il suo impatto globale;
6) rafforzamento dell'alleanza atlantica.
In sintesi, le tematiche più scottanti sul futuro dell'umanità.
Con le stesse modalità del Bilderberg si è riunito  - in "piccolo" (si fa per dire) - il Google Camp 2017 in Sicilia, che, sulla scia del Club, circonda le sue convention di un clima di assoluta segretezza.
Nel Google Camp siciliano c'è stata l'eco di quanto discusso e deciso nel Bilderberg.
Il tutto all'insegna del "Google zeitgeist", lo spirito del tempo, per preparare il management di Google alle nuove sfide, in particolare quella dell'intelligenza artificiale in grado di "carpire" ed elaborare dati, manipolare opinioni ed orientare le informazioni, fino a crearne di nuove. Vere o false non importa. Importano di più gli effetti che avranno.  
Essere padroni dell'informazione è il nuovo target dell'elite mondiale: si è visto con le elezioni in USA, inquinate a distanza dagli hackers russi. 
E, forse, non è un caso che l'albergo dove si è tenuto il Bilderberg era in Virginia, a pochi chilometri dalla Casa Bianca, dove nello Studio Ovale siede un certo Trump (invitato pure lui, ma che ha disertato la riunione, mandando alcuni fedelissimi).
Comunque, a margine, della Sicilia devono aver parlato bene. Se è vero che la prossima riunione del Bilderberg, quella del 2018, dovrebbe tenersi a Taormina. 
Grandi esclusi dal meeting la Russia e.... la Corea del Nord. Può darsi, facendo una battuta, che Kim Jong-Un si sia "arrabbiato" per questo, sfogandosi a colpi di missili? 
Sta di fatto che, da notizie ANSA, il dittatore nord-coreano si sta "allenando" anche alla cyberguerra, con un esercito di 6.000 hacker.
In ogni caso c'è poco da stare allegri.
By Michele Barbera 

venerdì 13 ottobre 2017

LA CASA NEL CUORE DI BETTY SCAGLIONE CIMO', AULINO EDITORE


Betty Scaglione è un'attenta ed acuta osservatrice del suo tempo e della sua gente. 
Nel genere proficuo del memoir, l'autrice riesce ad accompagnare il lettore in una dimensione propria  ed originale, con uno stile accattivante e sapido allo stesso tempo. La coralità della narrazione fa sapientemente da contrappunto ad una tensione emotiva individuale propria della diaristica personale, con un tocco raffinato e femminile.
Sul piano diacronico di un presente che si fonde intimamente con il passato, nelle terre e nelle atmosfere che furono del Gattopardo, l'autrice rivive esperienze e sentimenti della sua giovinezza, con un “io” narrativo che coinvolge il lettore, reso intimo partecipe del pathos che fa vibrare incessantemente le corde del ricordo.
Betty: è lei, la donna, ritratta con le tinte novecentesche e moderne, in tutta la sua quintessenza di forza e di carisma, il vero protagonista del romanzo; lei stessa, l'autrice, che biograficamente offre al lettore scene e ricordi affezionati, ma anche le altre donne, colte, raffinate, popolane, contadine, apparentemente semplici, ma sempre complici e consolatrici che vivono in religiosa simbiosi con la casa. Donne mai sottomesse, sicure, padrone delle vicende e mai disposte a piegarsi a destini avversi.
Il fabbricato vive ed esiste metaforicamente come una grande madre che accoglie, nutre, ospita, abbraccia i suoi abitanti. Rappresenta quasi un'isola, con un perimetro temporale che si stenta a racchiudere nella normale successione degli anni: è un eterno presente, Betty-ragazza che vive, si confonde in un tutt'uno con la Betty-donna che ricorda. Entrambe realizzano nella casa un unicum onirico, una devozione quasi mistica, che neanche la sciagura del sisma del 1968 riesce a cancellare.
La casa-persona continua ad esistere ed a trasmettere emozioni. In essa è trasfigurata la stessa famiglia, custode amorevole della sacralità delle tradizioni, nume tutelare dei suoi ospiti, in grado sempre di stupire e stupirsi nella quotidianità semplice di ogni giorno e di soffrire e compatire quando il vento contrario agita le vele della serenità domestica.
Gli occhi dell'adolescente-bambina Betty sono curiosi, indagatori, allegri ed allo stesso tempo nostalgici, in pari tempo con il progredire della narrazione.
L'aneddotica che ritma il susseguirsi delle vicende, dei giochi con i coetanei, degli scherzi quasi innocenti, delle passeggiate vivificanti e solenni nella campagna, non risparmia neanche avvenimenti allo stesso tempo funesti ed intriganti, restituiti al lettore con la naturalezza e la freschezza di chi si affaccia con intraprendente curiosità e spensierato interesse alla vita, senza barriere pregiudiziali o filtri sociali. Nel romanzo c'è spazio per il quotidiano vissuto con gli altri e per le riflessioni intime e personali, a volte trasfuse in dialoghi resi con vivace briosità e sorprendente realismo.
Un'opera che rievoca nel lettore suggestioni di un passato unico, radicato nella storia: uno scrigno che aspetta di essere aperto.
Leggere Betty è come sfogliare tra le mani l'album delle foto di famiglia, in cui è facile notare quel particolare che emoziona, quella sfumatura di paesaggio o quel volto che, improvvisamente, rivive nella memoria, immortale come solo il sentimento e l'affetto familiare può essere.
By Michele Barbera


VOTO DI PREFERENZA, LISTE BLOCCATE E DEMOCRAZIA



Non giriamoci dall'altra parte. 
La riforma elettorale che ha acceso i dibattiti dei parlamentari e delle oligarchie di partito, tutti occupati e preoccupati di fare stime, analisi e previsioni, ha lasciato tiepida e quasi indifferente la maggioranza degli italiani. 
Vecchia storia, ormai. Gli italiani si sono disaffezionati alla politica (almeno per il 40-50%) e buona parte del resto va a votare quasi per inerzia. Né la riforma elettorale pare scuotere più di tanto l'elettore visto il pasticciaccio che hanno combinato, nell'intento di lasciare tutti contenti (i partiti ed i cespugli). 
Preferenza sì o no, collegi uninominali, listini bloccati, candidati italiani per i seggi "esteri", abbassamento della quota di sbarramento. Sembra che i parlamentari, paurosi di perdere la poltrona, facciano di tutto per complicare la vita al cittadino-elettore ed allontanarlo dalla politica effettiva, visto che il suo voto, per le alchimie politiche conta poco, quasi nulla. 
Preferenza? Non sia mai. Si tuona contro la preferenza, perché favorisce il voto di scambio, la compravendita di voti e fa vincere i "mafiosi". Può darsi. Ma basterebbe che il candidato non andasse a cercare i voti dei mafiosi e non li acquistasse illecitamente, per privilegiare la preferenza che è strumento supremo di democrazia e di sicuro impegno per il cittadino. 
Basterebbe, insomma, che il candidato si comporti onestamente senza ricorrere a brogli e compravendite. Chiedo troppo?
Meglio, forse, i listini bloccati che favoriscono i burocrati di partito e le rendite parassitarie di posizione, oltre ad impedire l'avvento di figure nuove che non abbiano il placet dei vertici? 
La verità è che da parte dei politici si tende ad un sistema che permetta di controllare l'esito del voto e gli eletti. Di fronte all'assenza di grandi figure di riferimento, i piccoli stregoni della politica preferiscono fare fronte ad un rischio calcolato per garantirsi il futuro politico. 
L'astensionismo sconfortato non serve. Né serve uno sterile voto di protesta che si apre sul nulla.
La battaglia va condotta nelle urne, scegliendo partiti e formazioni, ma sopratutto uomini di coraggio.
Non svendiamo il nostro voto, facciamo sentire idee e proposte, esigiamo il loro rispetto. Dobbiamo prendere per il bavero i candidati e fare sentire la nostra voce, che è la voce dell'elettore. 
Ricordiamoci che la vera politica inizia sempre dal basso, da quel popolo fin troppo vituperato e strapazzato. Perché alla fine a pagare il conto di una cattiva amministrazione è e sarà sempre lui.
By Michele Barbera 


mercoledì 11 ottobre 2017

“ALBERO A MEZZ'ACQUA DI MARE” di CALOGERO CANGELOSI, IL CONVIVIO EDITORE


La silloge antologica di Calogero Cangelosi racchiude parte della sua produzione poetica risalente agli anni novanta, in una rassegna lirica che schiude al lettore sentimenti nascosti, afflati ispirati con sprazzi di colorate finestre sulla natura che circonda l'azione-vita dell'uomo e la sinergia simbiotica che li unisce e fonde nell'intimo.
Calogero Cangelosi è il “poeta randagio”, che ama vagare negli spazi lirici del rapporto uomo-natura e che accarezza la semplicità emozionale come topos ermeneutico della esistenza umana.
Pennellate verbali, intense ed emozionali, che trasmutano di tinte nuove, con neologismi ed etimi-simbolo (accalmìa,cerilo, debbiare, etc...) concentrati nei titoli delle liriche, quasi a condensare, in una complessa monade, il concetto e l'essenza stessa dei versi a seguire, in una voglia ambiziosa che è insieme sperimentazione ed ermetismo, gioco di parole, grammelot e squarcio tridimensionale del foglio bianco.
La poesia esprime sempre ciò che i semplici sensi materiali non percepiscono, in una prospettiva spirituale priva di orpelli, essenziale, ma sempre delicata e di respiro universale: luce stanca di sera/ si perde tra onde del mare: tace il vento alla vita e le finestre lontane.
Nella lirica che dà il nome alla silloge, la dimensione metarealistica della natura si proietta in un ritratto (o forse autoritratto) antropomorfo: albero a mezz'acqua di mare/ coltivi fortune e desideri/ arrivi e partenze: orizzonte inquieto/ tocchi nubi passeggere.
Animo inquieto che trova riposo solo in solitudini mistiche e metaforici naufragi in orizzonti olistici, totalizzanti.
Cangelosi è messaggero di concreta semplicità, quasi naif, nel profetare un ritorno alla natura vissuta quale liquido amniotico che protegge, nutre e che emoziona, egli richiama echi della poetica di Montale, dal quale si differenzia per la non scontata e rassegnata ricerca del “male di vivere” che caratterizza il lirismo montaliano.
Entrambi, però, si accostano a madre-natura con riverente rispetto-amore, coscienti e consapevoli della grandiosità e complessità del mistero della creazione pur nei suoi estremi, ma non banali dettagli, dell'importanza della memoria e dei ricordi di un'infanzia vissuta come età magica di innocente e filiale vissuto, a fronte di una società adulta contemporanea disumanizzata e spoglia di reali valori, di una civiltà spersonalizzante e nascosta dietro l'ipocrisia meccanicistica.
Nel giardino dei suoi ricordi il poeta randagio, a cuore nudo, accoglie il lettore, iniziandolo al mistero della vita.

By Michele Barbera  

sabato 30 settembre 2017

IL VOTO DELLA PAURA, MA E' SBAGLIATO NON VOTARE


L'anno 2017 è stato un anno di elezioni in tutta Europa e nel mondo. Ancora non è finito l'anno ed avremo le elezioni regionali in Sicilia. Ma in tutte queste campagne elettorali, in ogni cabina di voto c'è stato e c'è un comune denominatore: la paura. 
Paura. E' da ipocriti non riconoscerlo. La paura ha soggiogato gli elettori: paura della crisi, dell'immigrazione, della guerra, del terrorismo. Della povertà. Sopratutto. 
La paura alimenta sfiducia e, questa, l'astensionismo.
Se una volta si diceva che il popolo votava con la pancia piuttosto che con la testa, oggi la spinta al voto, abbandonata ogni ideologia vaga ed astratta, vola terra terra. E quando manca la spinta, non si va a votare, pensando che la nostra protesta venga notata. 
Non è così. Mai più che in ogni situazione, l'assente ha torto. 
Chi non vota fa vincere i "furbastri" della politica, del malaffare e dell'opportunismo. 
No a tutto questo.
C'è bisogno di protezione, di certezza, di decisioni e di saper fare. 
Nel generale disaffezione per la politica e per i politici, tutti - dico tutti - partiti, movimenti ed associazioni varie si sono dimostrate incapaci del consenso ottenuto e menefreghisti rispetto alla cosa pubblica: l'elettore vota oggi più per impulso istintivo di sopravvivenza che per un calcolo ragionato. 
Oggi, purtroppo, non ci si affida al candidato che appare più onesto e capace, oppure a quello da cui spera di poter riscuotere qualcosa o di ricevere la classica raccomandazione. Vige l'imperativo opposto: va premiato il candidato più urlante, che alza la voce e millanta onestà e se c'è, magari, la protesta, allora il voto va bene. Il candidato rassicura se è campanilista, protezionista, razzista se non nelle parole, nei fatti. O viceversa.
C'è voglia di scardinare la palude politica e i soliti noti che fanno della loro carica una comoda mangiatoia e del vuoto chiacchiericcio il loro vangelo. 
C'è voglia di cambiare, ma nel dopo-berlusconismo nulla è cambiato. Specie in politica. Addirittura nei movimenti populisti si è verificato che nella stessa famiglia uno è senatore e l'altro e deputato. 
Si vede in giro gente a zero valore che ha saputo semplicemente cavalcare l'onda, appuntarsi il distintivo e proclamarsi sceriffi della politica ma solo per soddisfare una fame atavica di potere e di denaro.
In Sicilia, l'acqua, bene primario e prezioso, da bene pubblico inalienabile è diventato merce privata, alimentando un commercio pieno e marcio di corruzione, nonostante il volere contrario della gente.
La crisi economica è ben lontana dall'essere risolta, l'Africa ed il Medio Oriente sono bombe ad orologeria pronte ad esplodere, da dove si esporta disperazione e terrorismo. 
La Sicilia è al centro di tutto questo, di quel Mediterraneo che è divenuto snodo cruciale di civiltà. 
Non abbiamo bisogno di accattoni, apprendisti stregoni, arruffoni della politica. O di mafiosi e settari con il volto perbene. 
Per fare tutto questo l'elettore deve andare a votare e deve impegnarsi. 
Invito la gente ad andare a votare e a dire chiaro al politico che lo si è votato. Seguite il vostro candidato, perseguitatelo, chiedetegli il rendiconto del voto, del suo impegno. Sputtanatelo se necessario: è uno di voi. Ha il vostro mandato. Non esistono politici intoccabili o "potenti". Non votate candidati "al buio" perché non siete servi sciocchi, ma cittadini intelligenti. 
Non votate il migliore perché ve lo dicono, ma perché credete realmente che lo sia. E se non rispetta il suo mandato... A CASA!!! 
Tutto non può finire nella paura
Questo dovrebbe essere lo slogan dei nostri, più che politici, amministratori. 
By Michele Barbera 




venerdì 22 settembre 2017

FEMMINICIDIO: LA STRAGE ANNUNCIATA E LE CHIACCHIERE INUTILI

Ci sono cose che nessuno può sopportare. Ci sono notizie che nessuno vorrebbe ascoltare ed eventi che nessuno dovrebbe vivere. 
Il "femminicidio" è un abominio che dovrebbe essere lontano anni luce da una società civile. La tanto proclamata "parità dei sessi" si infrange inevitabilmente sull'iniquo rapporto di forza fisica tra l'uomo e la donna. 
Non ci sono spiegazioni. Solo brutalità, violenza, sopraffazione. Proprio all'interno di quelle mura e da parte di quelle persone che dovrebbero proteggere e farci sentire al sicuro, voluti bene. E poi, rabbia, dolore, senso di impotenza di fronte a quello che è accaduto. 
Parole, le nostre. Come quelle sentite dai politici, criminologi, psicologi. In questi mesi, in questi giorni. Inutili e quasi fastidiose. 
Nessuno ha un rimedio, specie se calato dall'alto, perché non basta una legge, non basta un proclama per fare scomparire il malessere di una società che lo vive dal suo interno. 
Non è una questione di "proibire" o la "castrazione chimica" o la "terapia farmacologica". Tanto vale prevedere la pena di morte e la giustizia sommaria con fucilazione alla schiena. 
Ma per uno che muore, quanti ne verranno dietro, sia pure per un malato e perverso gioco emulatorio?
Occorre rispetto. Solo questo. Rispetto. 
Il rispetto parte dal basso, dalle famiglie, dal dialogo marito-moglie, dall'educazione dei giovani, dalle scuole. Il rispetto nei confronti dei propri familiari, dei propri insegnanti, dei propri amici.
Sapere che la propria libertà finisce quando inizia quella degli altri. 
Semplice. 
I mariti non sono padroni delle mogli. Né possono pretendere che le mogli siano sottomesse a loro come serve o schiave, pronte a soddisfare ogni loro capriccio o volere. 
La società è cambiata nei secoli. Il matrimonio è diventata una barca in cui a remare debbono essere in due. E tutti e due debbono remare nella stessa direzione. Altrimenti è lo sfascio, la deriva.
Rispetto, sempre quello. Chiamatelo obbligo morale o furba convenienza. Ma è così.
I genitori debbono sapere che hanno il grande dovere di "educare" i figli, non semplicemente di acquistare loro l'ultimo smartphone per "farlo contento" o di lasciarli uscire a orari impossibili per "farli divertire, che tanto tutti fanno così". 
Rispetto e regole. A cominciare dalle famiglie. Facciamo sentire ai nostri figli, ai nostri giovani che non sono soli, che nella vita non tutto è permesso, ma occorre anche sapere rispettare le indicazioni dei genitori. 
Cominciano da ora, da subito. Senza aspettare "leggi" e castrazione chimica. 
Dobbiamo essere orgogliosi di appartenere alla generazione del "per favore", del "buon giorno" o "buona sera". 
Da ultimo, mi rendo conto, da avvocato, che troppo spesso la donna che accusa viene sottovalutata da molti operatori giudiziari, o presa per pazza o isterica. Succedere più spesso di quello che pensiamo. L'accusa cela un bisogno disperato di aiuto. Che deve essere valutato, corretto, seguito, assistito. Il più delle volte viene deriso.
Non ci vogliono leggi speciali, ma solo una corretta applicazione di quelle esistenti. Con un occhio attento. 
Perché spesso la donna da sola non ce la fa. Non possiamo pretendere che ogni donna si trasformi in Rambo e che viva la sua giornata come in una trincea, ad avere paura di chi le sta vicino e dovrebbe condividere con lei la gioia di vivere. 
I rapporti malati vanno troncati. 
E se a volte si è deboli per farlo, o la paura frena, chiedere aiuto non deve essere fonte di vergogna o di imbarazzo, ma la realizzazione di un diritto da gridare a gran voce, di quella libertà di essere e di vivere che troppo spesso finisce calpestata dall'indifferenza, se non dalla derisione.
By Michele Barbera

sabato 2 settembre 2017

LA SICILIA IN GIALLO OSPITE A MENFI NE "LE FEDERICIANE"



A Menfi, in occasione delle giornate "Le Federiciane", patrocinate dall'Istituzionale Culturale "Federico II°" siamo ospiti con "GialloSicilia - Eventi 2017" di un incontro con i lettori di giallo e non. Si discuterà del romanzo di genere, delle sue variazioni, costruzioni e regole e perché no, delle sue... sfumature.  
Protagonista assoluto.... il pubblico!
Ospiti, naturalmente,... il maresciallo Liberti, il misterioso Vantò, l'avvocato Billemi e gli altri autori, investigatori e detective che hanno reso celebre il romanzo giallo in Sicilia. 
Non mancate... non ci sono alibi che tengano!
By Michele Barbera 

domenica 27 agosto 2017

TACI INFAME di WALTER MOLINO


"Vite di cronisti dal fronte del Sud", questo è il sottotitolo del libro-inchiesta di Walter Molino, uscito qualche anno fa e che voglio riproporre per la lettura. Molino, con stile appassionato ed appassionante, trascina il lettore nell'universo scomodo di chi insegue la verità per mestiere (o per professione). Chi ha praticato giornalismo, chi fa informazione prima o poi si deve scontrare con il fantasma, con l'incubo ricorrente: la verità si paga, e spesso è un prezzo altissimo. Specie se il cronista si muove nei territori del sottobosco criminale e guarda in faccia, ogni giorno, quegli individui dalle apparenze "perbene", che vivono e prosperano nel sangue delle stragi, degli omicidi di persone innocenti, nei traffici internazionali di stupefacenti, che proliferano nelle ricchezze illecite e fanno della corruzione e della violenza la loro religione, il loro credo esistenziale.
Scontrarsi ogni giorno con questa realtà non ammette compromessi. Non c'è una terza via. Ecco perché l'inchiesta di Molino è assolutamente interessante e fa riflettere. 
Dietro un articolo o un'intervista che narra ed investiga sulle malefatte di un boss mafioso c'è sempre qualcuno che si è fatto carico di scavare, di guardare in faccia il mostro, di denunciare il male senza avere paura delle conseguenze. Che spesso non si limitano alle semplici minacce, ma colpiscono in modo spietato e violento.
Il giornalismo di inchiesta ha martiri illustri, a cominciare da Peppino Impastato, ma Molino vuole fare di più e ci riesce. 
Racconta, con stile asciutto e intrigante la vita di cronisti nella loro trincea. Da vivi. L'orizzonte è vasto e comprende vicende umane da "eroi nascosti", che - tra mille difficoltà e con altrettanta energia e tenacia - nei territori delle mafie, della collusione omertosa, non hanno fatto passi indietro, decisi a difendere la libertà di informare ed essere informati. 
Sono esistenze scomode che generano prima fastidio, poi allarme ed infine rabbia, nel mondo oscuro dei poteri, quelli criminali, quelli mafiosi, quelli dei colletti bianchi. Da lì prima gli avvertimenti, poi le minacce. Ed infine la vendetta. O la censura, l'ostracismo. E' uno stato d'animo che chiunque abbia fatto informazione con coscienza, prima o poi ha provato: c'è la paura che combatte con la coscienza, c'è l'isolamento e la voglia di andare avanti. 
Il libro di Molino è un inno alla libertà di informare ed essere informati. Una libertà fondamentale che nell'era di internet, dell'informazione plagiata ed artefatta sta diventando merce sempre più preziosa. 
By Michele Barbera

martedì 22 agosto 2017

VACCINARSI E' UN DIRITTO: IL PERCHE' DEL NOSTRO SI' AI VACCINI

Si avvicina l'apertura dell'anno scolastico e la polemica sui vaccini, e lo dico seriamente, appare veramente fuori di luogo. Per secoli la medicina ha dovuto affrontare duri percorsi di ricerca per sintetizzare le molecole dei vaccini contro malattie devastanti, capaci di generare epidemie e falcidiare la popolazione. 
A tutt'oggi, quanti non sarebbero felici di avere un "vaccino" antitumorale, di una medicina, cioè, che assunta in via preventiva scongiurasse lo scatenarsi di patologie mortali?
E, invece, si polemizza contro l'uso dei vaccini, si sparano balle su presunte malattie collaterali. 
I ceppi delle malattie tradizionalmente oggi oggetto di vaccinazione sono sempre lì, dietro l'angolo. A volte basta abbassare l'asticella dell'attenzione e subito si scatenano con mini epidemie. Quindi, non è vero che sono debellate ed esporre i nostri figli a rischi serissimi dovrebbe indurre ogni genitore di buon senso a richiedere la vaccinazione non come "obbligo" ma come "diritto".
Altra cosa, questa sì che è giusto pretenderla è la estrema rigorosità dei controlli sui vaccini. Abbiamo il diritto, stavolta sì, di pretendere che siano confezionati a norma, che non subiscano decadimenti per cattiva conservazione o altra alterazione o contraffazione. 
Però tutto questo non ci deve mai fare dimenticare che i vaccini hanno consentito di sconfiggere malattie gravi e mortali. Rifiutarli, oltre che estremamente stupido, ci rende responsabili di fronte ai nostri figli ed alla loro generazione, il cui diritto alla salute va sicuramente tutelato.
By MIchele Barbera 

domenica 6 agosto 2017

GOOGLE CAMP 2017: LUCI ED OMBRE DI UN EVENTO INSPIEGABILE




I fari psichedelici del “misterioso” evento della multinazionale Google si sono spenti da poco, gli aerei privati, jet ultra-tech e yacht, hanno mestamente lasciato gli areoporti siciliani, i vip si sono salutati ad abbracci e baci. Rimane in bocca ( a loro) il mitico sapore dei favolosi menu proposti in cene milionarie all'ombra di antiche rovine, il raffinato ambiente del resort a cinque stelle da 1.500,00 euro a notte; rimane (a noi) il traffico di elicotteri ronzanti sulle spiagge, il codazzo di vetture mitiche e la cortina di impenetrabile segretezza del “summit” privato che sta diventando un must tra i vip di tutto il mondo.
Quello che colpisce è intanto la eterogeneità degli “invitati”: attori, attrici, cantanti, manager ed amministratori delegati, ma anche il capo del Fondo monetario mondiale, quella Lagarde che, sebbene stracarica di impegni, trova il tempo per partecipare in Sicilia a questo evento. Così come tutti gli altri vip, convenuti da ogni angolo del pianeta. Tutti, nella loro scintillante eterogeneità, pienamente disponibili.
Sembra che sia una “proposta” che non si può rifiutare (forse c'entrerà quella triste Sicilia del “Padrino”?).
Attenzione, non sto criticando l'evento in sé. Anzi, da buon siciliano ospitale, mi piacerebbe che tutti, proprio tutti, vip e non venissero a trascorrere qualche bel giorno in Sicilia ed il migliore augurio che potrei fare sarebbe quello di andarsene con il desiderio di tornare.
Ma Google Camp non è un ritrovo di “vecchi amici”. State attenti.
Jovanotti, persona che reputo sincera, tempo fa si fece scappare davanti ad un affollato convegno all'università di Firenze che era stato invitato ad un “summit segret...ehm privato, molto, molto esclusivo organizzato da una delle più grandi aziende del mondo”. Jovanotti accenna che lì si decideva il "futuro". Tutto in segreto.
Non è solo una questione di privacy per i vip. Né di smargiassate all'americana che affittano “in esclusiva” bellezze archelogiche per consumare il loro picnic di lusso.
No. In quel segreto c'è dell'altro.
C'è il futuro del mondo, le strategie globali economiche, lo sviluppo dell'economica, dell'energia, i flussi di denaro, c'è la “rete” mondiale che avviluppa tutto e tutti e ci tiene prigionieri nella nostra realtà satellite.
L' hi-tech, la realtà virtuale, gli investimenti milionari, lo sfruttamento delle risorse sono questioni che investono le nostre vite.
Chi decide? Loro.
Sempre Jovanotti, ma anche altri per la verità, hanno rimarcato il fatto che a questi meeting non c'è nessun politico di rilievo, nessun capo di stato. E tutti concludevano che il vero potere è quello economico non politico ( i politici sono inutili, pare sia il mantra del google camp, svelato da Jovanotti). I leader politici sono parentesi di storia, più o meno sbagliate.
Il denaro, l'informazione, l'investimento è quello che resta, il potere vero, quello che decide il futuro.
Molti si chiedono, in una logica condivisibile, del perché non viene reso noto quanto meno l'oggetto di questi “meeting”, l'oggetto "reale" e, magari, un comunicato stampa sulle conclusioni delle riunioni a cui partecipano soggetti che pilotano le multinazionali dell'economia globale.
No, non c'è neanche questo. Buio totale.
Tutti siamo rimasti fuori a guardare la vetrina luccicante dove i manichini recitavano lo spettacolo. Ma di chi ha vestito i manichini, chi li muove e perché, non ci è dato saperlo.
Viene naturale da chiedersi il perché.
Passata l'ubriacatura rimane il mal di testa.
E questo, badate bene, sarà duro da passare.
Almeno fino al prossimo Google Camp.

By Michele Barbera  

lunedì 17 luglio 2017

RIAPRE L’AVIS DI MENFI: GIORNO 14 LUGLIO LE PRIME DONAZIONI DOPO QUASI TRE ANNI!!!

Una grande notizia per Menfi ed i suoi cittadini. Una storia a lieto fine dopo che disinteresse e pasticci burocratici, con lungaggini a mai finire ne avevano decretato la sospensione dell’attività e la chiusura, per fortuna temporanea (avevamo denunciato il caso con un post del 21/10/2014).
È con immensa gioia che annunciamo, grazie all’impegno di Filippo Belmonte ed ai componenti del direttivo dell’AVIS, Sezione di Menfi, che i donatori di Menfi potranno ritornare ad adempiere all’alto dovere civico di donare il sangue.
Per scaramanzia (burocratica), non abbiamo voluto dare prima la notizia. Ma oggi è ufficiale e confermato: il 14/07/2017 i donatori hanno ripreso le donazioni nella nuova sede di Corso dei Mille.
L’AVIS di Menfi si appresta, così a rivivere una nuova stagione, dopo che tre anni fa aveva lasciato al Comune i locali di Via Volpe.
Sembrava una parabola di chiusura di un presidio del territorio, una delle tante che contraddistingue in negativo la storia della nostra cittadina, fatalmente destinata al disimpegno.
E invece no.
Filippo e gli altri ce l’hanno fatta.
Impegnandosi giorno dopo giorno, senza arretrare di un metro, portando avanti con l’ASP e la Regione il duro braccio di ferro per la riapertura della Sede.
Sembra assurdo ma così è.
L’AVIS non è certo un’associazione di profitto, non è una speculazione, non è solo “beneficienza”, è amore per gli altri: un donatore dona gratuitamente a chi ha bisogno, uno sconosciuto che riceverà dal sangue del donatore la possibilità di vivere, di guarire.
È veramente assurdo che i componenti del Direttivo abbiano dovuto lottare quasi tre anni prima di poter riaprire la sede, tre lunghi anni in cui è stato messo in discussione il patrimonio umano e sociale della sezione fondata nel 1977 dal lungimirante Gaspare Zinna, indimenticato Comandante della Polizia Municipale e filantropo. Lui, infatti, aveva deciso di creare, con alcuni amici, la sede AVIS a Menfi, affidando ai suoi concittadini il compito di salvare vite umane, donando il proprio sangue in modo anonimo e disinteressato.
Tre lunghi anni che non hanno fiaccato le energie di Filippo Belmonte e del suo staff pronto a spendersi per salvaguardare l’attività dell’AVIS.
La nuova Sede, attrezzata di tutto punto con poltrone di ultima generazione, e con ambienti ristrutturati, arredati ed accoglienti, è pronta a raccogliere la sfida di solidarietà e di umanità che ogni giorno incidenti, malattie, emergenze sanitarie pongono agli operatori.
Da più parti, e ne raccogliamo l’appello condividendolo, si vuole dedicare la nuova Sala Trasfusioni alla Memoria di Gaspare Zinna. Giriamo l’iniziativa meritoria al Direttivo AVIS ed ai Soci perché la facciano propria nell’anniversario del quarantennale di attività, un piccolo riconoscimento a chi ha saputo donare a Menfi questa grande iniziativa di solidarietà.

By Michele Barbera 

domenica 25 giugno 2017

I SIGNORI DELL'ACQUA E LA WATER ECONOMY


Solo lo 0,001 per cento della massa acquea presente sul nostro pianeta è di buona qualità e facilmente accessibile. Di contro tutte le attività umane hanno bisogno dell'acqua. La crescita della popolazione ha innalzato in modo esponenziale il bisogno di sfruttamento delle risorse idriche che, invece, hanno subito un depauperamento per via dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici.
L'acqua ha così interessato progressivamente gli appetiti dei grossi investitori, multinazionali alla ricerca del profitto, a cui il petrolio, le guerre, la fame, l'iperconsumismo NON bastano più.
Cercano nuove fonti di guadagno e da tempo commissionano studi statistici e di fattibilità sulla gestione speculativa delle risorse idriche.
Politici caproni, ignoranti e corrotti hanno aiutato ed aiutano queste multinazionali che si trincerano dietro motivazioni apparenti sulla bontà ed efficienza della “gestione privata” dell'acqua. Dietro le apparenze gli squali della finanza mondiale muovono le logiche della corruzione e del denaro per allungare le mani sulle fonti idriche.
Sì la battaglia dei prossimi anni (non secoli, non decenni) si svolgerà lì, sull' “oro blu”.
I nuovi speculatori non hanno bisogno di gestire e fomentare guerre, inventarsi nuove politiche consumistiche, speculare sull'energia o spingere sul bottone del progresso per spremere soldi dalla gente. Il loro business è sotto gli occhi di tutti: basta solo arrivare prima, saperne approfittare.
Ho litigato l'altro giorno con un sedicente ambientalista che mi parlava delle “balene” e della “caccia” e del “carbone” (alla faccia di Ciuffone Trump, il disgraziato presidente degli ancora più disgraziati stati uniti – con la lettera minuscola).
Ho litigato non perché io sia un cacciatore o sia a favore dell'utilizzo del carbone. Tutt'altro. Ho litigato perché non ci si rende conto che ogni giorno perdiamo la battaglia contro le multinazionali dell'acqua. E nelle “stanze che contano” nessuno fa una piega. Sembra quasi che non importi a nessuno.
Il vero crimine del secolo è questo: chi diventerà padrone dell'acqua, governerà il mondo. Senza se e senza ma.
Le multinazionali hanno interesse a che le risorse diventino “rare” per poi poterci speculare sopra.
Basti pensare, dalle nostre parti, alle reti idriche finite in mano a società private, con i conseguenti rincari e le repentine interruzioni di servizio: i padroni sono loro e fanno quello che vogliono. I politici e gli amministratori diventano solo dei fantocci, burattini corrotti ed incapaci.
L'uomo può fare a meno dell'auto, dell'energia elettrica, di internet e di tutte le altre cavolate. Ma non potrà mai fare a meno dell'acqua. Niente potrà sostituirla.
Quindi, per chi si impegna nell'ambiente, per il vero progresso sociale, per l'umanità la priorità è questa: salvare la proprietà pubblica dell'acqua.
Prima che sia troppo tardi.

By Michele Barbera